Un Paese irreale...
La fase politica che stiamo vivendo conferma, se mai ve ne fosse bisogno, la distanza sempre più grande che esiste tra la nazione reale e la classe dirigente.
Basterebbe meditare sul tasso di disoccupazione giovanile, attestato sul 40 per cento, e sulla diffusa precarietà di chi una occupazione riesce a trovarla oppure riflettere sul tasso di inattività, cioè su tutte quelle persone che un lavoro non ce l'hanno e neppure lo cercano, sfiduciate come sono dal "sistema" e forse dalla vita stessa, per capire che questo "paese più bello del mondo" di polvere sotto il tappeto ne nasconde parecchia.
L'elenco potrebbe essere lungo. Il punto è che questa distanza tra paese reale e classe dirigente rischia di accentuarsi ancor più nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, perché in Italia oggi, dopo il periodo dell'illusione e della successiva disillusione, andiamo incontro alla stagione dei populismi che ha già attraversato gli Stati Uniti e mezza Europa.
Molti di coloro che siedono nell'attuale Parlamento pensano ancora, probabilmente, di riuscire a far credere al cittadino che il problema di Palermo è il traffico, parafrasando la scena di uno straordinario film di Roberto Benigni.
Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, 10 giorni prima di lasciare il governo nelle mani di Mario Monti dopo aver portato l'Italia sull'orlo della bancarotta, disse che la crisi economica non era reale, che il nostro era un paese benestante e che i ristoranti erano pieni.
C'è soprattutto da colmare un gap. Perché oggi il malcontento è grande tra chi un mestiere ce l'ha e non arriva a fine mese, tra chi un'occupazione è costretto a difenderla coi denti e con le unghie per via del precariato, tra chi non riesce a trovare un lavoro, tra chi vive con mille rinunce con la propria pensione dopo una vita di sacrifici.
Prima la classe dirigente di questo Paese - o quel che ne resta - se ne renderà conto, meglio sarà.