ROMA...

10.10.2015 16:13

La capitale italiana – 2,8 milioni di abitanti, più di 10 milioni di turisti l’anno – non è mai stata un modello di virtù. Già da molti anni, perfino i visitatori più sbadati si erano resi conto che i monumenti cadevano letteralmente a pezzi, che le strade erano sporche e dissestate, che i trasporti pubblici erano un disastro e che le autorità chiudevano un occhio di fronte a troppi abusi: borseggiatori professionisti nelle linee degli autobus più frequentate dai turisti – in particolare la 40 e la 64, che coprono il tragitto tra la stazione di Termini e il Vaticano passando per il centro storico –, tassisti aereoportuali ai quali 

mancava solo la benda all’occhio e la gamba di legno, pizzerie e gelaterie abusive – nel momento di chiedere il conto e nel modo di invadere con le loro lucernarie lo spazio pubblico –, agenti della legge la cui unica missione sembrava essere quella di passeggiare per la città, e nel caso, rimproverare come un padre benevolo chi trasformava la fontana del Bernini in una piscina pubblica, oppure quelli, molti, che congestionavano ulteriormente il traffico parcheggiando in zone vietate.

Tuttavia, bastava fermarsi ad osservare per un momento tutto quella confusione per scoprire un certo ordine, una specie di contrappunto ribelle, anarchico e incredulo nei confronti della vecchia corruzione dei due Stati che sopporta – l’Italia e il Vaticano – e a una burocrazia oppressiva, in quanto enorme e inefficace.

Ma tutto ad un tratto, il sogno è stato rovinato. Due operazioni consecutive del pubblico ministero romano – la prima nel dicembre scorso e la seconda nel mese di giugno – hanno dimostrato che perfino i romani più critici avevano sottostimato il problema.

L’antico mistero, esiste la mafia a Roma?, è stato brutalmente svelato. Tutto sembrava aver trovato un senso. Ad un tratto, si è capito perché la città fosse sempre così sporca, così caotica, perché tutto il denaro destinato alle emergenze sociali – accoglienza dei migranti, sostegno alle famiglie in difficoltà – non fosse mai sufficiente.

L’indagine dei pubblici ministeri ha fatto luce su una serie di personaggi inquietanti che formavano un triangolo criminale destinato ad aggiudicarsi i migliori appalti pubblici. In un vertice hanno  messo Massimo Carminati, un vecchio terrorista di estrema destra, ex sicario della banda della Magliana, soprannominato “Il Guercio” perché perse un occhio in uno scontro con la polizia. Nell’altro, Salvatore Buzzi, impresario di sinistra con potenti contatti nella malavita, ottenuti dopo aver passato un periodo in carcere per avere ucciso un vecchio socio. I due – il potere della minaccia e la seduzione del denaro – si impegnarono nel creare una estesa rete di politici e funzionari corrotti in grado di procurargli i contratti più succulenti.

Un triangolo perfetto che la polizia non esitò a qualificare come la quinta Mafia Italiana, dopo la Cosa Nostra siciliana, la Camorra napoletana, la ‘Ndrangheta calabrese e la Sacra Corona Unita pugliese. Venne battezzata Mafia Capitale.

Il suo capo, il vecchio terrorista, aveva perfino una filosofia ispirata alla Terra di Mezzo di Tolkien : “I vivi stanno in cima, i morti in basso. E noi stiamo nel mezzo. Perché nel mondo della Terra di Mezzo tutti si incontrano. A quelli del mondo in cima interessa che qualcuno del mondo di sotto gli faccia cose che non può fare nessuno, e allora tutto si mescola”. Una filosofia che, nel momento della verità, l’impresario Salvatore Buzzi non aveva difficoltà a tradurre in romanesco, affinché né i suoi politici né i suoi funzionari al soldo si confondessero sulle pretese del sicario di alto livello: “Già conosci la metafora: se vuoi mungere la vacca, la vacca deve mangiare. E già l’avete munta tanto, tanto…”.