Quale Europa???
Tutti parlano di economia, di euro, di tassazione, di debiti e crediti, di Bce e di Fmi, tutti si scoprono economisti e analizzano e forniscono rimedi. Cerchiamo prima di riassumere i fatti a rischio di essere didascalici. Partiamo da un dato. E cioè dai parametri di Maastricht sottoscritti dai paesi che nel 1992 diedero vita al primo tentativo di Unione Europea che comprendeva dodici paesi. Tra le clausole previste un rapporto deficit-Pil non superiore al 3% e un rapporto debito-Pil non superiore al 60%, con le ovvie eccezioni di Italia e Spagna, oltre ad un tasso di inflazione non superiore all’1,5. Sul rapporto debito-Pil al 60%, che si prevedeva tale per tutti nel giro di vent’anni, si rinviò poi a quel fiscal compact che ci avrebbe obbligato a enormi e insopportabili sacrifici, ma del quale ormai oggi nessuno parla più. Tutte clausole accettate comunemente e sottoscritte consapevolmente. Così come comunemente sono stati sottoscritti i successivi trattati di Amsterdam e di Lisbona. I paesi aderenti alla Ue sono aumentati divenendo, già nel 2007, ben 27, e coloro che hanno accettato di sostituire le monete nazionali con l’euro sono progressivamente cresciuti e da 12 che erano all’inizio del duemila sono oggi diventati 18.
Nessuno ha mai chiesto di rivedere i parametri fissati a Maastricht e in particolare quel 3 per cento nel rapporto tra deficit e Pil, e magari di scorporare dal calcolo del deficit gli investimenti, come sarebbe stato opportuno in particolare dopo la crisi del 2008, ma Spagna e poi Francia lo hanno potuto superare senza incorrere in scomuniche e disposizioni punitive. La Grecia, dal canto suo, entrata nell’Unione solo nel 2001, ha falsificato i suoi dati e secondo il premier socialista Papandreu ebbe a denunciare un deficit del 5% quando esso era addirittura attorno al 12%. Contemporaneamente, già a seguito di Maastricht, era stata fondata la Banca centrale europea assieme al Sistema europeo delle banche centrali (Seb) per coordinare la politica monetaria. D’altro lato si era dato avvio, alla luce del Patto stabilità del 1997 che prevedeva la clausole prima richiamate, anche ai patti di stabilità interni dei singoli paesi, con una certa libertà di scelta, ma con l’obiettivo comune di rimanere all’interno dei vincoli. Per rendere possibile aiuti ai paesi che si trovavano in difficoltà venne anche fondato il Meccanismo di stabilità (Mes) o Fondo salva stati.
E qui si entra nel merito del vero e grande problema che abbiamo di fronte, cioè quello della costruzione dell’Europa politica. Nessun trattato finora ha spostato sensibili equilibri. Se l’unico elemento unificante è l’euro, in un’economia così differente da stato a stato, da regione a regione, l’euro coi suoi vincoli finisce per presentarsi come un’insopportabile ingiustizia. Questo soprattutto in paesi, come l’Italia, in cui il cambio lira-euro, è avvenuto con parametri svantaggiosi.
La cessione di sovranità dagli stati nazionali (vedasi la politica estera, i diritti civili, la giustizia, il mercato del lavoro) non ha neppure accennato a iniziare a concretarsi. Rafforzare le istituzioni europee, rivedere se necessario taluni parametri fissati a Maastricht e nel Patto di di stabilità, rilanciare una politica di crescita e di sviluppo anche attraverso opere pubbliche da non conteggiare nel vincolo del tre per cento è oggi necessario anche per combattere quella percezione di Europa matrigna che ha alimentato e tuttora alimenta movimenti e partiti anti europeisti.
MdB