Mobbing sul posto di lavoro...
“Il mobbing, nel rapporto di impiego pubblico, si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica (Cons. Stato, Sez. VI, 12/3/2015 n. 1282)”.
Questo il principio ribadito dal Consiglio di Stato – sezione IV – con sentenza n. 284 del 28 gennaio 2016, relativamente al ricorso di una dipendente dell’INPS avverso l’illegittimo trasferimento, in altra sede lavorativa, dispostole dall’Istituto, e la conseguente richiesta di risarcimento scaturente dalla condotta asseritamente “mobbizzante” dell’Ente datore di lavoro.
In particolare, la Sezione illustra come, ai fini della configurabilità della condotta lesiva da mobbing, debba essere accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati in particolare:
a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio;
b) dall'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;
c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore;
d) dalla prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.
A parere del Collegio, del resto, la sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emrginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing (Cons. Stato, Sez. III, 14/5/2015 n. 2412).
Conseguentemente un singolo atto illegittimo, o anche più atti illegittimi, di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante (Cons. Stato Sez. VI, 16/4/2015 n. 1945), tale che, con riferimento al caso concreto, il comportamento mobbizzante ascrivibile all’ente datoriale, non può essere ravvisato nel mero trasferimento (benché illegittimo) adottato nei confronti della dipendente.
Per cui, anche a prescindere dalla sussistenza effettiva delle lamentate patologie e del nesso eziologico (non provato) con il predetto trasferimento, manca nella specie la stessa condotta illecita ascrivibileall’ente datoriale.