La morte della patria e un'ode al culatello...
“Solo in Italia succedono cose del genere”, “le solite cose fatte all’italiana”, “se fossimo un paese normale...”, “Che ti aspettavi? Siamo in Italia”.
Questi sono solo alcuni modi nei quali si manifesta il vero sport nazionale, l’autodenigrazione nazionale, malattia italica congenita contro la quale sarebbe utile vaccinarci quanto prima.
Per la stragrande maggioranza degli italiani, tutto in questo paese va male, e anzi andrà peggio e quasi ci si compiace a mostrare agli ospiti e amici stranieri le malefatte nazionali. (Sia chiaro, ho sempre considerato la frase “right or wrong this is my country” una emerita stupidaggine).
Che poi quello è un modo per dire agli amici stranieri: “io con questi qua, i miei concittadini, non c’entro nulla. Sono su un altro livello, tanto che mi riesco a rendere conto delle loro bassezze. Sono uno che ha viaggiato io, in fondo non mi sento nemmeno italiano”.
Tutto ciò che è italiano dunque è cattivo, sporco, marcio, corrotto. Non resta che emigrare nei paesi civili del Nord, dove magicamente si concentrano tutte le virtù civiche dell’universo. Là si che si vive la vera vita!
Eppure nel vizio italico dell’autodenigrazione nazionale una falla c’è e basta guardare la pubblicità per capirlo.
“Solo carni allevate in Italia”, “solo con latte italiano”, “solo con verdure coltivate in Italia”. La lista può continuare all’infinito.
Ma come? Siamo convinti che questo paese sia il regno dell’inciviltà, un concentrato di marciume, una prigione dalla quale scappare il prima possibile e poi per quanto riguarda una cosa delicata, intima, vitale come il cibo, che potrebbe anche ucciderci, non compriamo e non mangiamo niente che non abbia un neon gigantesco sopra che ci assicuri che è un vero prodotto italiano? Perché?
Attenzione perché qui non c’entra la bontà della nostra cucina. C’è dell’altro, forse più profondo, ma cosa? Una spiegazione certa io non ce l’ho, però una risposta la voglio abbozzare.
La virulenza con la quale parliamo male del nostro paese è la stessa dell’amante tradito che parla male dell’amata/amato che è andato via, ma che pur tuttavia continua nel suo intimo ad amare. L’autodenigrazione nazionale è l’altra faccia di un patriottismo che non può esprimersi liberamente dopo che il fascismo si è appropriato di qualche millennio di storia patria e se lo è trascinato con sé nella polvere, amputando gli italiani del loro legittimo amor di patria.
Ecco allora che, se non possiamo gloriarci di essere la culla dell’Occidente moderno, la matrice da cui sono nate le moderne democrazie, e quella scienza, e quel diritto che rendono il mondo civile, allora quel patriottismo mai morto non può che venir fuori in un’ode al culatello, un cantico alla pizza, una lirica alla cassata, una serenata allo stracchino, un sonetto alla chianina, una ballata al pecorino (sardo!).
Qui possiamo finalmente esprime liberamente quell’amor di patria, anzi quel senso di superiorità che percepiamo appartenerci e sentirci almeno per un attimo felici in questo paese che fingiamo maldestramente di odiare.
di N.M.