Il 25 aprile...
Possiamo far finta di niente e affrontare le ricorrenze del 1943-45 con l’entusiasmo intellettuale e morale che non ci è mai mancato. Possiamo celebrare il 25 Aprile con orazioni commosse ignorando che in piazza, davanti ai monumenti, i partecipanti sono sempre più scarsi e sempre più anziani.
Possiamo citare i valori della Resistenza fondamento della Costituzione e immaginare che i giovani ci ascoltano. Ma se siamo onesti dobbiamo riconoscere che non è così: perché quando scorrono i decenni e scorre anche la memoria e allora le piazze si svuotano, invecchiano dimenticano.
Bisogna raccontare ai giovani in modo diverso ciò che è accaduto nel ’43-’45 pensando che le nuove generazioni non possono contare, come è stato per la nostra, su testimonianze dirette, narrazioni famigliari, non possono contare su quell’aspetto emotivo. Venendo meno questo, occorre costruire dei percorsi di conoscenza per comprendere come quei terribili fatti siano potuti accadere. Essendo l’orrore così lontano nel tempo il rischio è che venga percepito come non più ripetibile.
Occorre liberare le coscienze da una percezione errata secondo cui quanto accaduto sia frutto di menti malate o di popoli inconsapevoli.
Non andò così.
Tre elementi che contraddistinguono tutti i regimi totalitari, dal nazismo allo stalinismo, e che vanno spiegati per comprendere ed evitare che si ripetano: Il primo elemento è la violenza; il secondo: il controllo dell’educazione, della scuola, la formazione dei giovani; il terzo è il controllo dell’informazione.
Oggi non è più stagione di emozioni.
Per questo, l’oggi deve diventare stagione di ragionamento, in cui riuscire a trasformare la memoria in consapevolezza della storia.