I boiardi di Stato..
Correva l’anno 1972 (D.P.R. 30 giugno 1972 n. 748), quando l’organizzazione interna pubblica statale venne divisa, separando, con le stesse risorse umane e senza nessuna contestuale ristrutturazione dei ministeri, una classe d’elite, la dirigenza, dal resto dei dipendenti.
Ma il vero salto di qualità è nelle riforme dei primi anni ’90, fino alla privatizzazione e prearizzazione (per modo di dire) della dirigenza.
In termini stipendiali, la nuova concezione produce un raddoppio del trattamento economico dei primi rispetto alla truppa, rimasta affamata, come se la figura del dirigente, da sola, potesse trasformare dei carrozzoni spesso sgangherati.
Dal punto di vista di spesa pubblica e di efficienza, invece, i cambiamenti producono solo peggioramenti, creando battaglioni di “battitori liberi”, in realtà assolutamente vincolati dalla politica, ma liberi, in connubio con quest’ultima, di portarsi via un sacco di soldi, con scarse responsabilità e scarsissimi risultati.
Ai dipendenti pubblici manca formazione ed hanno lo stipendio bloccato da anni (e chissà ancora per quanto!), con livelli retributivi ormai definiti da fame. Ma se la truppa è nel fango della trincea a soffrir di stenti, per i generali non è proprio così: l’alta dirigenza pubblica, quella stessa che ha così brillantemente ridotto la P.A., non ha subito nessun blocco.
Anzi, non ha nemmeno retribuzioni parametrate all’inflazione. Completamente svincolata dalla dinamica del settore pubblico, esattamente come avviene per i parlamentari e i professori universitari, si aggancia al parametro plafond del Primo Presidente della Corte di Cassazione. Risultato: il tetto, già molto elevato all’epoca del decreto n. 201/2011 (decreto “Salva Italia”), pari ad € 293.658,95, è passato ad € 302.937,12 fino allo scorso anno ed a € 311.658,53. In soli due anni e mezzo il tetto è aumentato di € 18.000 , pari al 6.1%. Secondo l’indagine OCSE “Government at a glance 2011” gli alti “papaveri” dello Stato italiano, un tempo detti “i boiardi” di Stato, sono i più pagati del mondo.
Un ulteriore aspetto, peculiare della dirigenza nostrana, poi, lo sottolinea “L’Espresso”: il 68,08 % dei dirigenti pubblici ha una tessera di CGIL. CISL o UIL (contro una media nazionale del 33.7 %) e questo spiega molto sul perché si riescano a mantenere certi privilegi.
Che sia forse il caso di fare qualcosa?