Fidatevi di me...

28.03.2017 22:14

Il vento antipolitico soffia forte sulla democrazia contemporanea. Talmente forte che paiono sempre più numerosi coloro che teorizzano la democrazia diretta come soluzione alla crisi della rappresentanza e dei partiti. Alcuni movimenti populisti propongono la consultazione permanente dell'elettorato attraverso gli strumenti tecnologici oggi a disposizione: basterebbe, secondo loro, una piattaforma web e un sistema sicuro e collaudato di voto online per attuare il principio della sovranità popolare. Altro che democrazia rappresentativa, così intrinsecamente portata a tradire il mandato del popolo. Altro che il principio della delega.

Eppure sono molte le controindicazioni di un simile modello. L'idea che la democrazia diretta possa realmente funzionare nel tempo si basa sulla falsa credenza che ad averla finora frenata, se non impedita, sia soltanto l'impossibilità tecnica di realizzarla. Cioè che finché internet non esisteva, non era praticamente fattibile chiamare l'elettorato a esprimersi tutte le volte che ve ne era bisogno; ma ora che internet invece esiste, la democrazia diretta è finalmente possibile.

Quegli stessi movimenti, per esempio in Italia, si sono addirittura fatti pionieri al loro interno di sperimentazioni in questo senso, con risultati che dire controversi è un eufemismo, in termini sia di partecipazione numerica alle consultazioni (risibile se confrontata al consenso ricevuto dagli stessi movimenti nelle elezioni ufficiali), sia di effettivo rispetto da parte dei vertici della volontà manifestata dalla rete. Ogni riferimento a recenti fatti non è ovviamente casuale.

Il vero problema della democrazia diretta è invece tutto tranne che tecnologico. 

Prima di ogni altra cosa, è un problema di funzionamento della democrazia stessa. Nella sua versione "hard", la democrazia diretta sostituirebbe in toto quella rappresentativa, cioè il Parlamento dei rappresentanti eletti dal popolo. L'abolizione del Parlamento può essere fonte di un certo piacere, e non a torto, di questi tempi, ma ciò non toglie che una tale estrema soluzione richiederebbe un parallelo rafforzamento qualitativo e quantitativo della burocrazia, ovvero di una "casta" (sia detto in senso non spregiativo) addetta all'attuazione della volontà popolare.

Perché se il popolo vota, qualcuno dovrà pur tradurre il voto in leggi, la volontà diretta del popolo sovrano in articoli e commi. Che a fare ciò siano dei tecnici politicamente irresponsabili - almeno in teoria, meri attuatori del verbo popolare - non è una prospettiva entusiasmante. Ma forse tra politici e burocrati i meno odiati rimangono ancora i secondi, quindi non ci sarebbe da stupirsi se questa democrazia diretta in versione "hard" non dispiacesse a molti.

La versione "soft" invece non contempla un'abolizione della mediazione politica e della rappresentanza in senso stretto. La classe politica sopravvivrebbe, ma assai ridimensionata nelle sue funzioni e probabilmente anche nelle sue dimensioni. Essa dovrebbe sostanzialmente attenersi a quanto il popolo stabilisce di volta in volta con il proprio voto, online o su carta.

La sua unica autonomia, intesa come esercizio della rappresentanza, si concretizzerebbe nella scelta di come attuare la volontà popolare: di fatto, farebbe quello che nella versione "hard" fa la burocrazia, con la differenza (positiva) che almeno in questo caso vi sarebbe qualcuno che ne risponde politicamente.

C'è però anche una differenza negativa, che i più sottovalutano: il Parlamento rimasto in piedi sarebbe un fantoccio, in quanto non sarebbe più possibile, né avrebbe alcun senso, individuare una linea politica, per quanto non vincolante. Non avrebbe più alcun senso che vi siano maggioranza e opposizione, forse neppure un governo, perché tutte le principali decisioni politiche tipicamente proprie di una maggioranza parlamentare e di un governo sarebbero rimesse di volta in volta alla consultazione popolare.

È importante sottolineare: tutte le principali decisioni, non alcune. Se fossero solo alcune, non sarebbe più democrazia diretta, ma soltanto una democrazia rappresentativa un po' più rappresentativa di quanto oggi non sia (che non ci voglia poi molto, è un altro discorso).

Per essere estremamente chiari: se anche una maggioranza e un'opposizione rimanessero in piedi, sarebbero continuamente rimesse a prendere atto del responso di un popolo che non è detto segua una direzione, non è detto si esprima sempre coerentemente con se stesso. Risultato: non vi sarebbe più alcun indirizzo, né all'interno del Parlamento né al di fuori, ma soltanto il caos di una irrefrenabile coazione a votare (con non trascurabili problemi di tenuta dell'affluenza sul medio-lungo periodo).

Molti diranno, disincantati: "le cose non andrebbero molto peggio rispetto a oggi". Ma che una cosa non funzioni oggi, non è un buon motivo per farla funzionare peggio domani. Si tratta più o meno dello stesso principio di "non peggioramento" che ha giustificato in tanti casi il No alla revisione della Costituzione dello scorso 4 dicembre.

La realtà, per fortuna, è che la democrazia non è il televoto di Sanremo. Non è neppure la piattaforma web di qualche movimento politico, dove, guarda caso, l'ultima parola spetta sempre al "capo" (un vero "garante" non direbbe mai "fidatevi di me").

La verità è che non c'è versione di democrazia diretta che tenga, al di fuori dell'odierno istituto del referendum, pur sempre perfezionabile (ma non nel principio che esso può essere soltanto abrogativo di leggi ordinarie). Il popolo sovrano ha il diritto e il dovere di farsi rappresentare (molto meglio di come avvenga oggi). Tutto il resto è antidemocratico.