Femminicidio...
Femminicidio o violenza maschile sono espressioni che non hanno spazio in Italia, un paese che parla ancora di crimini passionali quando si riferisce agli assassinii di donne, che non figurano neanche in un registro ufficiale.
Le associazioni femminili si battono da decenni perché il governo ammetta che la violenza maschile è un problema di Stato e i giornalisti cambino il modo di raccontare i maltrattamenti, senza giustificarli come raptus causati da gelosia o infedeltà.
“In Italia c’è un grosso movimento femminile ma anche un governo che non ha mai voluto affrontare il problema in maniera adeguata”, ha dichiarato a Efe Vittoria Tola, responsabile nazionale dell’Unione delle Donne Italiane (UDI). “Non c’è una raccolta di dati sistematica, cosa che impedisce di vedere la dimensione del problema. I dati non vengono raccolti – aggiunge – perché se fossero registrati, lo Stato si dovrebbe attivare”, un cambiamento che implica la formazione delle forze dell’ordine, la creazione di case di accoglienza e di centri sanitari, un sistema che Tola vorrebbe che si conformasse a quello spagnolo. “In Italia, se una donna si presenta in commissariato a sporgere denuncia, non esiste nemmeno un modello da compilare per la violenza maschile”, dice Tola, che sottolinea come “negli ospedali i medici non sono obbligati a chiedere se le donne che presentano ferite sono vittime dei compagni o degli ex compagni”. Ritiene che la cosa più grave è l’esistenza di “tutta una struttura a diversi livelli che cerca di minimizzare il fenomeno, perché la difesa della famiglia tradizionale viene prima di ogni altra cosa”. Di fatto, evidenzia come “si continua a chiedere alle donne di pensarci bene quando vanno in commissariato a denunciare, perché il denunciato è il marito, il padre dei suoi figli”.
“L’Italia è un paese che ha ereditato dal fascismo il delitto d’onore, ovvero, se l’onore del marito era infangato dal comportamento inappropriato di sua moglie, lui aveva il diritto di punirla” , ricorda l’attivista. Un retaggio che risulta evidente sui mezzi di comunicazione, che in molte occasioni parlano di “crimini passionali” nei casi di omicidi di donne e giustificano la violenza con gelosie e litigi.
Contro questo linguaggio combatte l’associazione di giornaliste Giulia, che incoraggia la stampa a far uscire allo scoperto e dare visibilità ad un problema sociale la cui dimensione resta ancora sconosciuta perché non presente nelle statistiche. La stampa diventa uno strumento ancora più importante per denunciare un fenomeno quando lo Stato non lo fa, e per questo decine di giornalisti lavorano per cambiare il linguaggio dei mezzi di comunicazione italiani. Una delle giornaliste dell’associazione, Barbara Bonomi, ha dichiarato a Efe che la violenza maschile “necessita di un’attenzione mediatica maggiore” perché costituisce “un problema sociale grave”, ma c’è bisogno di “un grande lavoro sul linguaggio giornalistico”.
“Il giornalismo in Italia è un mondo maschile”, dice Bonomi, che aggiunge: “per non parlare dei dettagli morbosi o sensazionalistici, soprattutto in televisione”. “Femminicidio non è una brutta parola, è una realtà, e deve comparire sulla stampa. E’ un omicidio o un maltrattamento nei confronti della donna”, dichiara. E sottolinea: “Nei media italiani si racconta che un raptus di gelosia provocato dalla donna ha condotto l’uomo, ormai fuori di sé, a maltrattarla o ad ucciderla”. Inoltre accade spesso che, dopo un reato, i familiari o amici dell’accusato compaiano in televisione dicendo che “era una persona normale”, il che è “un fraintendimento”, ha aggiunto.
Bonomi ritiene importante far passare il messaggio che la violenza tocca tutte le donne, di ogni classe sociale, razza ed età, e “non solo le donne povere e poco istruite”, un messaggio chiave che aiuterebbe a portare alla luce un problema ancora sottaciuto.